Eventi [ 25/10/2018 - Corriere del Veneto - Domenica 18 novembre 2018

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"Corriere del Veneto - Domenica 18 novembre 2018" 

di Paolo Coltro

Se c'è una rivista che si intitola Bell'Italia, e ogni mese ci delizia e ci consola, vuol dire che le bellezze non ci mancano. Ma è sempre bello questo nostro Paese? E' ovunque bello? E poi, come è bello? Stiamo parlando di ambiente, che naturalmente (sottolineiamo naturalmente) si intride di storia e di società. L'ambiente è ovunque, ci circonda e ci fa vivere e non vorremmo che con gli anni e le opere umane le eccellenze celebrate diventassero isole, minoritarie e residuali, le uniche superstiti in grado di attrarre, sedurre e fare notizia. Tutto l'ambiente dovrebbe fare notizia, per il solo fatto che non è il contenitore della nostra esistenza, ma la base stessa del nostro vivere. Indagare questa normalità che ci circonda, capire il suo ruolo e le sue trasformazioni è stata l'idea da cui Steve Bisson, creativo italo-belga con base ad Asolo, è partito per sguinzagliare otto giovani fotografi ai quattro angoli d'Italia, per un lavoro di lungo respiro. Tre anni a cogliere realtà diverse, un tema all'anno per andare sotto la superficie di panorami normali, esercitare la sensibilità oltre il facile patinato, ignorare l'ovvio per arrivare all'essenza di terra, aria, acqua. Questo lungo reportage atipico a più mani diventa ora una mostra alla Fondazione Benetton di Treviso, luogo topico per gli studi sull'ambiente: a palazzo Bomben si inaugura sabato 17 novembre, alle 18, e fino al 6 gennaio,  la carrellata di immagini che ci raccontano, danno il senso, di questa investigazione. Che è soprattutto fotografica, perché è più immediato comunicare per immagini, ma è soprattutto altro, uno stimolo diverso. Come dire che non ci si va per guardare delle belle fotografie, ma per capire un percorso che riguarda tutti noi. Il narcisismo fotografico è bandito, gli scatti cercano una normalità ovvero l'unica chiave per farci capire cos'è veramente l'ambiente. Il collettivo si è battezzato Synap(see), il che la dice lunga sulle intenzioni: guardare, fotografare ma far funzionare le sinapsi cerebrali. Non solo le proprie magari, ma quelle del pubblico. Dice il curatore Steve Bisson: «Ho detto ai ragazzi di disimparare la fotografia come risultato. E' un processo che può aprirsi a chi guarda». E infatti, salvo qualche (lodevole, sia chiaro) eccezione, la singola fotografia si spoglia del sé, l'autorialità predilige lo sviluppo di un percorso, l'approfondimento si propone al posto della folgorazione estetica immediata. Le immagini, spesso in sé minimaliste, acquistano complessità nel loro insieme e costruiscono un messaggio più largo del singolo scatto; le varie serie, poi, si affiancano scoprendo affinità di linguaggio e vi danno un affresco vero dell'ambiente italiano. Le foto sono sillabe di parole e le parole formano un discorso non gridato, sostanzialmente senza aggettivi, senza retorica né effetti speciali. E' una via più difficile rispetto a quella del facile stupore indotto, del bello riconoscibile esibito, pare quasi che l'occhio del fotografo smetta di essere tale per adeguarsi allo sguardo comune. Ma è una scelta, forse un sacrificio, che permette di rendere la realtà in tutta la sua obiettività: non è truccata, non è pettinata, non è esagerata, il fascino va cercato nella semplicità visibile a tutti. E' l'Italia della consuetudine, quella che si sveglia la mattina ed è più vera, ancora prima della sferzata eccitante del caffè.
I tre temi sono stati l'Agro, cioè la campagna, i Fiumi, i Parchi, o meglio il confine tra il parco protetto e il non più parco. In quest'ultimo caso, per mettere a confronto il limite fino al quale l'attività umana può insidiare l'ambiente, un confine spesso labile, spesso oltrepassato. Figurarsi dove non c'è la tutela, e non c'è il limite. L'ambiente ha le sue ferite, e qui appaiono non meno angoscianti anche raffigurate più in modo dolente che drammatico. Se non è il bianco e nero, i colori sono tenui, i contrasti attenuati. Non si testimonia la guerra, ma piuttosto la sofferenza per cui l'ambiente subisce, ma continua a vivere. C'è qualche sprazzo di consapevole ottimismo, la testimonianza del possibile: gli animali allevati in libertà, gli umani avvolti dalla natura, le opere che ci difendono dalle alluvioni. Soprattutto, questo è un ambiente visto con otto paia di occhi giovani, e sono quelli di Andrea Buzzichelli, Sergio Camplone, Emanuela De Luca, Paola Fiorini, Simone Mizzotti, Antonella Monzoni, Stefano Parrini, Giovanni Presutti. La loro fotografia non è iconica, non è interpretativa, rifugge dall'invenzione: è una compagna di strada, ancilla e non protagonista. Ma ha la sua voce, e nel silenzio che qualche desaturazione esalta, si sente chiara. Il minimalismo visivo (l'erba è erba, le foglie sono foglie) arriva alla possibilità di infinito, con gli orizzonti e i cieli aperti. Questa visione dell'ambiente, vera e connaturata a noi umani, non da vetrina ma da quotidiano domestico, è proprio quella che ci farà riflettere di più.